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``Fui chiamato Dolindo che significa dolore``

Don Dolindo nasce a Napoli il 6 ottobre 1882 da Raffaele Ruotolo e da Silvia Valle, quarto di undici figli; l’11 ottobre riceve il Battesimo e gli vengono imposti i nomi di Dolindo, Francesco, Giuseppe. Riceve per la prima volta la Santa Eucaristia nel 1893. Della sua infanzia e della fanciullezza ricorda l’estrema indigenza e i rapporti molto tesi fra i genitori. Il padre ha un comportamento di estrema durezza e severità con la moglie e con i figli, in modo particolare con Dolindo, non risparmiandogli durissime punizioni corporali che riducono il povero fanciullo a uno “scimunito”, come narra egli stesso. Tuttavia, già in età molto precoce sente il richiamo alla vita consacrata; a 4 anni dice alla mamma: «Io sarò sacerdote!».

Nel 1895 i genitori si separano legalmente e le condizioni economiche della famiglia divengono ancora più dure. Dietro consiglio del suo confessore, la madre decide di far entrare Dolindo e il fratello Elio alla scuola apostolica dei Preti della Missione, a Napoli. I risultati scolastici di Dolindo sono inizialmente insufficienti, ma Dolindo prega intensamente la Madonna chiedendole l’intelligenza per poter diventare sacerdote. La grazia giunge inaspettata e immediata: la Madonna gli ottiene un’intelligenza pronta e acuta che lo rende capace di un intenso lavoro intellettuale, «ma solo per le cose di Dio», come per modestia precisa lo stesso don Dolindo, più avanti negli anni, nella sua autobiografia.

Nel giugno 1905 riceve l’Ordinazione sacerdotale. Nel 1906 gli viene affidato l’incarico di direttore spirituale nel seminario di Taranto, dove incontra un ambiente ostile; l’anno seguente viene trasferito a Molfetta come maestro di canto e direttore spirituale dei seminaristi. A causa di un increscioso equivoco, viene accusato di eresia e nel 1907 viene convocato dal Sant’Uffizio. Obbediente, si sottomette alle disposizioni della Chiesa. Nel 1908 viene espulso dalla Congregazione dei Preti della Missione e fa ritorno in famiglia, ma è accolto con sospetto e incontra nuove sofferenze: un parente lo tratta da schiavo e un altro lo denuncia come aderente ad una società segreta. Mons. Mazzella, arcivescovo di Rossano Calabro, lo accoglie nella sua diocesi, dove rimane fino al 1911. Nel 1912, recatosi a Roma per perorare la sua causa, è ricevuto in udienza da san Pio X; ritorna quindi a Napoli e inizia il suo apostolato di predicazione in chiese e ospedali di Napoli.

Nel 1916, invitato da alcune studentesse universitarie, tiene delle lezioni di cultura religiosa in casa dell’avvocato Antonio La Rovere e in breve, ottenute le dovute licenze, sorge spontaneamente una scuola di Religione. Nel mese di aprile del 1917 pubblica il suo primo libro, La Dottrina Cattolica, una raccolta delle istruzioni catechistiche tenute ai fanciulli della chiesa della Cesàrea; segue, nel settembre dello stesso anno, la Vita di N. S. Gesù Cristo, rielaborazione di prediche tenute nella chiesa di san Gennariello a Napoli. Da qualche parte, però, nascono sospetti sul contenuto delle lezioni della scuola di Religione: nel 1918 la scuola viene chiusa e don Dolindo viene sospeso dalla predicazione. Le accuse diventano sempre più pesanti e lo conducono di nuovo a Roma, presso il Sant’Uffizio, dove rimane per circa un anno. Il 4 marzo 1921 viene sospeso a divinis; non potrà esercitare il ministero sacerdotale fino al 1937. In questo tempo di profonda sofferenza si occupa di musica sacra, componendo brani musicali, scrivendo studi musicali e cantando nelle chiese di Napoli.

Nel 1925 gli fu presentato un sacerdote che attraversava una profonda crisi di fede perché tentasse di ricondurlo a Dio. Per fargli capire la bellezza della Sacra Scrittura e dell’Ufficio divino, cominciò a commentare il libro del Genesi. Incoraggiato da mons. Giovanni Sanna, OFMConv., vescovo di Gravina di Puglia – al quale furono fatti leggere gli appunti di queste “conversazioni bibliche” –, comincia a scrivere un suo commento alla Sacra Scrittura, adottando come metodo quello dei Santi Padri della Chiesa. Il primo volume viene stampato nel 1930 con l’imprimatur dello stesso mons. Sanna.

In seguito ad alcune critiche sfavorevoli, don Dolindo ottenne dal papa Pio XI che i suoi commenti scritturali venissero esaminati da alcuni censori prescelti dal Sant’Uffizio, i quali li trovarono immuni da errori dottrinali e morali. Nonostante gli ampi consensi e gli apprezzamenti dei lettori, tra cui cardinali, vescovi, rettori di seminari, religiosi e fedeli, nel 1940 l’opera, giunta all’undicesimo volume, viene bloccata e posta all’Indice dei libri proibiti. Incoraggiato da importanti studiosi e da autorità della Chiesa, don Dolindo prosegue, però, il lavoro di compilazione dei volumi successivi, pur senza pubblicarli. Questi volumi vedranno la luce solo dopo la sua morte grazie all’impegno delle figlie spirituali e di mons. Vittorio Maria Costantini, OFMConv., vescovo di Sessa Aurunca, che ne curò personalmente l’edizione.

Reintegrato nelle facoltà del ministero sacerdotale nel luglio 1937, da allora si dedicò a un’intensa attività ministeriale come predicatore, confessore e direttore spirituale. Dal 1942 fu viceparroco del fratello don Elio presso la chiesa di San Giuseppe dei Vecchi, a Napoli. Nel novembre del 1960 un ictus gli provoca la paralisi del lato sinistro del corpo. Appena possibile, però, nonostante le condizioni fisiche precarie riprese la sua intensissima attività di apostolato, che portò avanti ancora per dieci anni tra sofferenze indicibili. Morì il 19 novembre 1970, dopo una broncopolmonite con febbre altissima che lo consumò in tre giorni. Fu sepolto dapprima nel cimitero di Poggioreale ma, dietro richiesta di più di ventimila fedeli, il cardinale arcivescovo di Napoli, mons. Corrado Ursi, concesse la traslazione della salma nella chiesa parrocchiale in cui aveva coadiuvato il fratello fin dal 1942, San Giuseppe dei Vecchi, in via Salvatore Tommasi 20, ove si trova tuttora.

La pubblicazione dei numerosi scritti di don Dolindo è continuata, dopo la sua morte, inizialmente grazie allo zelo delle sue figlie spirituali dell’Apostolato Stampa e, dal 2003, di Casa Mariana Editrice. La sua opera più importante è il commento alla Sacra Scrittura in 33 volumi, composti tra il 1929 e il 1964, che hanno visto numerose ristampe.

La grandiosa opera di Don Dolindo
Commento alla Sacra Scrittura

Come è sorta l’opera

Il monumentale Commento alla Sacra Scrittura è nato quasi “per caso”. È don Dolindo stesso a raccontarnel’origine: «L’opera nacque come un granello di senapa. C’incontrammo con un’anima lontana da Dio, che aveva un profondo odio contro la Sacra Scrittura, generato in lei da catastrofi morali; si trattava di un uomo abbastanza colto ed intelligente, che cercammo ricondurre al Signore facendogli meditare la Divina Parola; e con la meditazione assidua cominciò a trasformarsi radicalmente. Chi era presente alle nostre meditazioni prese degli appunti e ci pregò di pubblicarli per il bene di tante anime. Esitammo molto tempo prima di deciderci, ma poi seguimmo quella che appariva la volontà di Dio. Noi avemmo così, senza volerlo, per divina bontà, l’esperienza pratica del come si potesse ridonare ad un’anima il gusto della Divina Parola. Bisognava rendergliela interessante, pratica, viva, dilettevole, applicabile alle necessità del cuore, alle aspirazioni della mente che vuole la ragione di tutto per prestare a Dio un omaggio ragionevole. Ecco perché in questo primo volume spezzettammo, per così dire, il Sacro testo, il più che era possibile, affinché l’anima non si fosse trovata d’un colpo innanzi ad ardue difficoltà» (dal Commento alla Genesi).

Come l’ha composta

Dalle testimonianze autobiografiche e da testimoni oculari sappiamo che ogni volume del Commento è frutto di tanta preghiera e di tanto studio. Tanta preghiera, anzitutto: era ai piedi del Tabernacolo che il padre attingeva il fuoco d’amore divino che lo spingeva a comunicare per iscritto i concetti così percepiti nella meditazione e nell’adorazione, nel colloquio continuo con il divin Signore. Ma anche con tanto studio. Soprattutto nei lunghi periodi di sospensione dal ministero sacerdotale, il padre Dolindo si dedicò ad uno studio approfondito della teologia e in particolare della patristica. A queste fonti ha attinto la straordinaria ricchezza e varietà di contenuti dei suoi commenti alla Scrittura.

Lo scopo per cui si dedicò con tanto zelo a scrivere e predicare era unico: la gloria di Dio e il bene delle anime. Questo lo spingeva a consumarsi letteralmente, con la penitenza continua. E lui voleva spingere tutti sulla via di una santità radicale. Per questo le sue opere sono piene, quasi traboccano di insegnamenti ascetici.

In particolare nel commentare tutta la Sacra Scrittura ha voluto adottare un metodo pastorale, prestando tuttavia la dovuta attenzione anche agli studi critici del tempo, accolti con la necessaria prudenza, come raccomandato dai pontefici d’allora.

Abbiamo una testimonianza personale del padre a proposito della scelta del metodo per commentare la Sacra Scrittura. Nella Prefazione alla II edizione del commento alla Genesi don Dolindo riconosce nelle parole di Papa Pio XI ai convenuti per la Settimana biblica di quell’anno, «un programma di esegesi biblica, che assolutamente non deve trascurarsi se non si vuole percorrere una via falsa» (Commento alla Genesi, Gravina di Puglia 1937, p. 20). Lui stesso confessa che queste parole «sono state il programma che ci siamo imposti in quest’opera». Il Papa parla delle difficoltà in cui verte l’esegesi a lui contemporanea, a volte troppo aperta a opinioni poco fondate e contrarie alla Fede della Chiesa: «È certo, diceva il Pontefice, che si scorgono segni di un vero disorientamento, o per lo meno di un certo modernismo biblico, così come si dà un modernismo dogmatico, giuridico, storico, letterario, che se non andiamo errati, pare che abbia un fondamento che spesso affiora, un fondamento falso, che consiste nel trattare e maneggiare i Libri Divini come se non fossero divini, trattarli e discuterli come se fossero un libro qualunque… Si deve invece partire dal concetto che è realtà: si tratta di Libri Divini, ispirati, per tale scopo affidati ad un’autorità, con accanto la tradizione del magistero infallibile della Chiesa. Mettere da parte questo, è antiscientifico, è prendere una cosa per quello che non è, perché si dimentica la parte essenziale».

Don Dolindo afferma spesso che l’esegesi, anche se si deve servire di tutte le scienze moderne adatte a chiarire il senso del testo sacro, tuttavia non si deve ridurre a pura filologia o archeologia letteraria. C’è infatti una profonda differenza tra la Sacra Scrittura e gli altri libri dell’antichità. La Bibbia è un libro divino e come tale va letto e studiato. Il suo scopo è unicamente religioso: Dio l’ha ispirata per la nostra salvezza. Per questo il Libro divino deve diventare «l’alimento e la meditazione dell’anima» (Commento alla Genesi, 1937, p. 19).

In effetti, come riconosce il padre Dolindo stesso, questo «è il metodo seguito da tutti i Santi Padri, ed è questo il metodo più logico nel commentare un Libro che ci è stato dato da Dio per la nostra vita spirituale… tutto è fresco e nutritivo per l’anima, perché in tutto si scorge la luce di Dio, della sua Provvidenza, della sua bontà, la luce del Cristo e della sua Chiesa, la luce della verità sulla condizione umana, sulla nostra libertà, sul nostro ultimo fine, sui mezzi che ci conducono a raggiungerlo» (Commento alla Genesi, 1937, p. 19).

Don Dolindo pubblicò 13 volumi. La pubblicazione dell’opera fu interrotta nel 1939. Riprese nel 1974 con la pubblicazione del commento all’Apocalisse.

Generale accoglienza

L’accoglienza dei primo volumi del commento alla Sacra Scrittura fu d’avvero generale e straordinaria. Nell’archivio dell’Apostolato Stampa, si conservano numerosissime testimonianze scritte di aprrovazione e di incoraggiamento della monumentale opera. Alcune di esse sono state anche pubblicate. Sono lettere di cardinali, vescovi, monsignori, rettori di seminari, sacerdoti, superiori religiosi e dotti laici.

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